Il coraggio (1955)

Tratto da un’opera teatrale di Augusto Novelli, Il coraggio è un film del 1955 interpretato da Totò e Gino Cervi, per la regia di Domenico Paolella, mentre alla sceneggiatura collaborarono tra gli altri, oltre allo stesso Totò, anche Marcello Marchesi e Riccardo Mantoni – fratello del noto conduttore Corrado Mantoni –.

Seppur girato – ad eccezione della scena nel Tevere – negli stabilimenti cinematografici Pisorno di Tirrenia, in provincia di Pisa, la vicenda narrata nel film si svolge a Roma. Qui vive Aristide Paoloni (Gino Cervi) un industriale tessile che naviga in cattive acque, con il particolare hobby di salvare vite a chiunque si getti nel Tevere per tentare il suicidio. Ne ha già salvate 24, ricevendo per ognuna una medaglia al valore che tiene in bella vista in casa, quando un giorno gli si presenta l’occasione per effettuare il suo venticinquesimo salvataggio. Così, senza esitare, si getta nel Tevere e salva dalle acque un uomo gettatosi dal ponte; dopo aver ricevuto gli onori e le felicitazioni dei conoscenti e dei suoi dipendenti, oltre che aver “ingigantito” la propria impresa, la vicenda prende però una piega inaspettata: al portone di casa sua, infatti, dopo essere stato dimesso dall’ospedale, si presenta l’aspirante suicida, Gennaro Vaccariello (Totò), un povero vedovo che, in virtù del suo salvataggio, pretende da Paoloni di essere ospitato e mantenuto insieme alla sua famiglia composta da sei figli e dall’anziano zio Salvatore (Ernesto Almirante), ex bersagliere.

Seppur controvoglia, Paoloni è costretto ad assecondare la stramba richiesta di Gennaro – le elezioni sono infatti vicine e, essendo candidato, teme di guastare la propria reputazione – con il risultato che ben presto la vita nella casa dell’industriale è completamente stravolta dai nuovi arrivati. Ma nonostante ciò la presenza di Gennaro in casa si rivelerà salvifica per Paoloni; Vaccariello, infatti, dopo aver scoperto le ambizioni dell’amante di Aristide, Susy Esposito (Gianna Maria Canale) che intende sfruttare Paoloni, riesce a liquidarla convincendola con uno stratagemma a trasferirsi in Venezuela non prima di essersi fatto restituire dalla donna l’assegno di cinque milioni di Lire che Paoloni le aveva dato per impedirle di essere sfrattata, cosa non vera tra l’altro. Trasferitosi poi insieme a prole e zio nell’azienda di Paoloni, Gennaro riesce anche a scoprire che l’amministratore Rialti (Leopoldo Trieste) fa il doppio gioco, riferendo ad un concorrente le cifre che Paoloni intende offrire nelle varie gare di appalto. E così Gennaro, dopo che Rialti è uscito dalla stanza, manomette l’offerta presente nella busta consentendo a Paoloni di aggiudicarsi l’appalto nella gara della giornata successiva e smascherando al contempo l’infedele Rialti.

Convinto di aver perso la gara d’appalto – della quale non ha visto la conclusione – Paoloni si reca a casa con l’intenzione di farla finita; il provvidenziale intervento di Gennaro, che ricambierà quanto avuto a suo tempo nel fiume, impedisce ad Aristide di portare a termine il suo intento suicida. Poco dopo giungono i familiari, rimasti all’oscuro del tentato suicidio di Paoloni, e l’infedele Rialti che, recatosi lì per complimentarsi con l’imprenditore per la vittoria dell’appalto, è scacciato in malo modo dalla casa da Gennaro e i suoi figli. Il finale, come ormai appare inevitabile, è il classico lieto fine dell’intera vicenda: Paoloni, infatti, per ringraziare Gennaro di avergli salvato la vita, gli cointesta l’azienda, ma oltre che soci in affari, i due diventeranno anche consuoceri visto l’amore sbocciato tra l’unica figlia di Paoloni, Irene (Irene Galter) e il figlio maggiore di Gennaro, Raffaele (Gabriele Tinti). Tutto bene quel che finisce bene dunque, ma la pellicola di Paolella regala agli spettatori una “chicca” finale che conferisce all’intera trama, in retrospettiva, una venatura comica ulteriore: nelle battute conclusive, infatti, Gennaro, rispondendo alla domanda di Paoloni circa i motivi del suo gesto, gli confida che quel giorno non aveva alcuna intenzione di gettarsi nel fiume, ma di essere finito in acqua perché spinto di sotto da un ignoto malfattore.

Che dire, commedia ideale per una serata spensierata, uno dei tanti film tipici degli anni Cinquanta che vede praticamente inevitabile il più classico dei “lieto fine”. Sceneggiatura semplice nella sua idea di base, ma che, grazie alla presenza di due giganti del cinema nostrano quali Gino Cervi e Totò, riesce a non risultare troppo “piatta” o noiosa. Insomma, un film senza pretese, ma che galleggia sulla superficie della sufficienza, malgrado il giudizio sostanzialmente negativo che ne diede, sulle colonne de «Il Contemporaneo» del 31 gennaio 1956, il critico cinematografico Luigi Chiarini il quale, tra l’altro, dichiarò: «Il vecchio testo di Novelli, che fu già cavallo di battaglia di Petrolini, poteva offrire lo spunto per realizzare con Totò un gustoso film satirico, solo che il regista si fosse preoccupato di dire qualche cosa anziché accavallare situazioni farsesche del tutto esteriori con l’unico intento di far ridere il pubblico. Il risultato, naturalmente è negativo: questa volta neppure Totò è riuscito a superare la piattezza della sceneggiatura. Ne è venuto fuori un film scolorito e noioso».

Il coraggio (1955); Regia: Domenico Paolella; cast:

  • Totò

  • Gino Cervi

  • Gianna Maria Canale

  • Irene Galter

  • Gabriele Tinti

  • Paola Barbara

  • Leopoldo Trieste

  • Ernesto Almirante

  • Anna Campori

  • Sandro Pistolini

  • Gina Amendola

  • Gianni Partanna

  • Mimmo Poli

  • Enzo Garinei

  • Salvo Libassi

Giovanni Fenu